Cenni storici

Centro medioevale ancora oggi ben conservato nei suoi vicoli tortuosi e nelle sue costruzioni dai portali e dalle finestre quattrocenteschi. Il feudo dei Mareri nel sec. XVI divenne proprietà dei Colonna i quali lo cedettero infine al Regno di Napoli.
Segnano l’ingresso all’abitato la chiesa di Sant’Andrea, del sec. XVII, che conserva un bell’altare barocco, l’elegante palazzo Maoli cinquecentesco e la sede del Burgravio dei Colonna (sec. XVI). Caratteristico é il portale quattrocentesco riccamente decorato con fregi e rilievi.
La chiesa parrocchiale di Sant’Annunziata, edificio romanico del sec. XIII, presenta un bel portale quattrocentesco e un interno rimaneggiato in stile barocco.

Si ricorda la Rocca di Beatrice Cenci di cui oggi restano solo le rovine e il moncone dell’antico mastio.

Il territorio del Comune di Petrella Salto si pone nella bassa valle del Salto alla destra del suddetto fiume, occupando un’area che va dalle cime del Nuria fino all’attuale bacino artificiale del Salto.Lo stesso fiume, dopo la diga lo divide dal territorio dei comuni dell’Alta Sabina, lungo una linea che fu anche il confine storico fra Stato della Chiesa e Regno delle Due Sicilie.Territorio ricco di Storia e di vicende, in esso fin dall’epoca classica fiorirono centri di notevole interesse. Fra questi spicca Cliternia, insediamento romano che il Martelli identificò nella zona di Capradosso, ma che, a nostro avviso, dovette occupare un sito posto tra l’attuale Casale Antonetti e la chiesa diruta di S. Giovanni di Staffoli, posta lungo la provinciale Cittaducale-Fiamignano.
È in questo sito, infatti, che si ritrova la maggior parte di reperti archeologici chiaramente provenienti dall’antico insediamento equicolo, il quale non é più nominato dalle fonti fin dal IV secolo . Si ignorano le cause della scomparsa di questo centro, del quale restano numerose epigrafi.
La causa più probabile é da attribuire forse ad un terremoto, ma non sono da escludere altri motivi, fa cui una progressiva decadenza della zona che con le invasioni barbariche dovette toccare il fondo.
Nell’alto Medioevo si ha un lungo silenzio sull’intera zona equicola che compare solo in alcuni documenti di difficile interpretazione.
La scarsa popolazione della zona dovette in quell’epoca distribuirsi in alcune "curtes" a mezza costa, sotto la protezione di monaci benedettini, che reinsegnarono l’agricoltura e che si insediarono in grancie ed in chiese silvestri.
Tra queste degne di nota sono S. Maria in Capradosso, S. Mauro nella stessa località, S. Angelo di Staffoli, S. Maria della Macchia, San Silvestro, S. Angelo in Colle Dordonis, S. Martino in Broilo a Petrella e S. Angelo in Fiume nei pressi dell’attuale Fiumata.
Le "curtes" principali dovettero invece essere localizzate presso la chiesa di S. Andrea in Capradosso, nel sito in cui trovasi ora l’attuale cimitero della frazione, nonchè vicino alla chiesa di San Martino in Broilo, nei pressi di Petrella, in una zona ancor oggi nominata con vocabolo catastale "Imbroino".
Gli attuali centri sorgono invece intorno al secolo XI, quando, in seguito alle invasioni dei Saraceni e dei Normanni le popolazioni furono costrette ad incastellarsi in centri più sicuri.
È proprio allora che sorgono i "castelli" di Petrella, di Staffoli, di Capradosso, di Mareri, con le numerose "villae", di Offeio e di San Martino.
Interessante per lo studio dell’incastellamento é analizzare il sito sul quale sorse Petrella. Costruita intorno ad uno sperone roccioso pressoché inespugnabile sul quale sorse la Rocca, autonoma dal punto di vista del rifornimento idrico, per la presenza delle numerose "fonticelle", il nuovo centro si poneva in una posizione fortemente favorevole, elevata e difendibile, totalmente esposta a mezzogiorno e tale da fungere da anello di congiunzione tra la fertile produzione agricola delle vallate cli mezzacosta ed i buoni pascoli dei pianori montani.
La sua quindi é una posizione tale da consentire nel futuro al suddetto centro successivi sviluppi.
Nel 1153, con la bolla di Anastasio IV a Dodone, Vescovo di Rieti, sono citate per la prima volta le chiese della zona, che poi sono i luoghi di culto dei nuovi "castra" di diritto vescovile. In una successiva bolla papale del 1182, di Lucio III, sono citate le chiese di S. Maria della Petrella, di S. Andrea in Capradosso, di S. Eutizio di Mareri, di S. Rufina di Piagge, di S. Pietro de Molito e di S. Giovanni di Staffoli.
Contemporaneamente inizia l’infeudamento del territorio a varie famiglie, fra le quali spicca quella dei Mareri, proprietaria all’inizio dei centri di Mareri, Piagge, Pagliara, Oiano, Teglieto, Vallebona e Casardita, ma che tendeva con l’acquisto di Petrella e di altri castelli, ad un reale dominio sull’intero Cicolano. Tali acquisti si realizzarono certamente prima del 1228 quando queste località sono in possesso di Tommaso e Gentile Mareri.
È questo anche il periodo in cui Filippa, sorella dei suddetti, compie una clamorosa scelta religiosa.
Rifiutate tutte le offerte di matrimonio, preferì fuggire nella benedettina "grotta di S. Nicola " sopra Piagge dove si diede, con alcune seguaci, alla vita monastica.
Fu per l’insistenza dei fratelli a cui di molto impedimento politico sarebbe stata una scelta in senso benedettino e per l’influenza del Francescanesimo, che Filippa accettò la donazione della Chiesa di San Pietro de Molito e dell’intera Villa Casardita, dove impiantò un Monastero di Clarisse, il primo del Regno di Sicilia, intorno al quale si sviluppò nel tempo il villaggio di Borgo San Pietro.
Morta nel 1236, a Filippa fu subito tributato un culto per cui Pio VII, nel 1808 la proclamò Beata
I Mareri, intanto, dopo un riuscito tentativo di Tommaso I di uscire indenne dalle lotte fra Angioini e Svevi , dopo il passaggio di Corradino di Svevia perdettero tutti i feudi. Petrella in quell’occasione divenne demaniale e cominciò ad esercitare un’importante.funzione politica nella zona come sede dei giudici regi.
Durante la lotta fra gli Angioini ed i Mareri, il castrum di Mareri fu incendiato e distrutto.
Fu nel 1305 che la situazione si normalizzò con la ripresa di possesso da parte di Francesco II Mareri di tutti quelli che erano stati i feudi degli antenati, grazie anche all’esigenza degli Angioini di instaurare ai confini del regno una realtà feudale forte ed unitaria. Da questo momento i Mareri incominciano a risiedere a Petrella, che si ingrandisce di edifici, come il palazzo Mareri in Piazza S. Maria, il palazzo baronale di Porta Orientale e diviene centro di traffici e di vita politica.
Intanto i feudi dei Mareri si pongono come uno stato cuscinetto tra le realtà di Rieti, L’Aquila e San Salvatore Maggiore. Di questo stato di cose la famiglia Mareri approfitta per ampliare sempre più i suoi domini, fino a riunire sotto la sua Signoria l’intero Cicolano, con il matrimonio fra Francesco III Mareri e Paola di Poppleto duchessa del Corvaro.
La famiglia Mareri, alle soglie dell’età moderna di viene sempre più potente.
Abbandonate le residenze all’interno di Petrella, i Conti abitano nella Rocca, adattata a splendida dimora rinascimentale e costituita da due palazzi, uno superiore l’altro inferiore. Ma tale potenza viene ad esser stroncata nel 1511 con la strage che, successivamente fu chiamata "primo giallo della Petrella".
Il Conte Gianfrancesco Mareri, marito di una Carafa di Napoli, aveva rifiutato di dare in dote ad una figlia naturale, sposata al castellano di Staffoli, un certo Giacomo Facchini, lo stesso castello di Staffoli. Costui aveva deciso di vendicarsi. Frattanto servivano alla Rocca, nella corte comitale, due giovani paggi, uno dei quali di straordinaria bellezza. Costui era divenuto l’amante della contessa. La cosa era stata conosciuta dal conte, il quale, inviando il giovane a Napoli con finte missive per i Carafa, fu da costoro fatto uccidere. Suo fratello, intanto, continuava a servire a corte meditando vendetta. Fu infatti, proprio grazie alla complicità di questo paggio, che il Facchini riuscì ad entrare nella Rocca della Petrella con trecento armati ed a sterminare l’intera famiglia Mareri.
Dalla strage si salvò solo la giovanissima Maria Costanza che, gettata da una finestra della Rocca, restò miracolosamente impigliata con le vesti ad uno spuntone di ferro della muraglia. Soccorsa dai Petrellani, fu inviata a Cittaducale e quindi a Roma, dove fu protetta da Leone X. Sposò Annibale Rangoni. Con il marito tornò nella Rocca di Petrella, dove visse fino alla morte del marito.
Rimasta vedova, decise di vendere la contea di Cicoli a Carlo V, che la assegnò a Pompeo Colonna, Vescovo di Rieti, il quale a sua volta la assegnò al nipote Marzio. Con la vendita della contea i Mareri scompaiono definitivamente dalla storia del territorio che a noi interessa. Ad essi subentrarono i Colonna.
Alla morte di Marzio Colonna il contado di Cicoli fu ereditato dalla figlia minore Orinzia, che sposò a sua volta Pompeo, duca di Zagarolo. Da questo momento il ramo dei Colonna di Cicoli e quello di Zagarolo sono uniti.
Il governo colonnese a Petrella e nel suo territorio fu abbastanza splendido. Con i Colonna il territorio fu inserito nell’influenza dell’ambiente rinascimentale romano. Fu grazie a questa influenza che Petrella ebbe nel Cinquecento uno dei più originali monumenti che é appunto il Santuario di S. Maria Apparì.
L’edificio fu costruito in seguito ad un fatto straordinario avvenuto il 31 maggio del 1562. Una fanciulla di Petrella, Persiana di Gian Pietro Faina, tredicenne, mentre era intenta a cogliere ciliegie acerbe da una pianta di proprietà dei suoi genitori, ebbe la visione di una Signora vestita di bianco, nella quale ben presto ella riconobbe la Vergine Maria che le affidò un messaggio di conversione per i suoi compaesani, messaggio originalissimo perché in alcuni punti ed a più di tre secoli di distanza prelude quello di Fatima.
Come segno del fatto miracoloso ci furono la maturazione delle ciliegie e numerose guarigioni.
Subito la giovane Persiana fu esaminata dall’autorità ecclesiastica che autorizzò infine il culto di S. Maria Apparì. Fu l’intervento determinante della Contessa Orinzia a permettere l’edificazione del Santuario Mariano, che ha pianta originalissima dal momento che essa é un ottagono inscritto in un quadrato.
Ma la storia del Cinquecento petrellano, alla fine del secolo, doveva arricchirsi del fatto che é, senza dubbio, I’avvenimento più noto della Storia del Cicolano. Esso é appunto il giallo di Beatrice Cenci, alla cui figura, spesso romanzata, Petrella é legata inscindibilmente.
Sotto il governo del figlio di Orinzia, Marzio, duca di Zagarolo, che a Petrella amava risiedere nel palazzo di S. Rocco, divenuto poi convento ed attualmente sede comunale, il patrizio romano, Francesco Cenci, pressato a Roma dai creditori e dagli stessi figli maggiori, Giacomo, Rocco e Cristoforo, con la seconda moglie Lucrezia e la figlia Beatrice, chiese a Marzio Colonna di alloggiare nella Rocca della Petrella che raggiunse a cavallo.
Nella Rocca egli, temendo che la figlia si sposasse, soprattutto per non sborsare la dote, la tenne quasi in prigionia insieme alla matrigna.
La giovane, intelligente e determinata, decise allora di uccidere il padre. Per realizzare questo disegno, dopo aver coinvolto da Roma il fratello Giacomo, divenne l’amante di Olimpio Calvetti, castellano della Petrella, che inizialmente anch’egli risiedeva nella Rocca, ma che, successivamente fu fatto spostare da Marzio Colonna, che forse aveva sospettato qualcosa della sua relazione con Beatrice, nel palazzo baronale di porta orientale..
Ma non per questo il Calvetti desistette dall’incontrare Beatrice, che raggiungeva con scale attraverso la muraglia, I’ortaccio e la finestra della prigione.
Comprata con promesse poi non mantenute, la complicità di un misero maniscalco, Marzio da Fioran, detto il Catalano e costretta Lucrezia a partecipare alla congiura, con l’assenso e la guida di Giacomo Cenci, Beatrice fece sorprendere il padre dal Calvetti e dal Catalano nel suo letto.
Il primo lo uccise con un colpo di martello alla tempia, mentre il secondo lo immobilizzava con colpi di mattarello.
Era il 9 settembre del 1598. Per occultare il delitto si finse una disgrazia ed il corpo fu gettato dal Calvetti da un mignano malamente dissestato ad arte, nell’ortaccio. Ma nè i Petrellani, nè i giudici del Regno di Napoli credettero alla disgrazia, mentre Lucrezia e Beatrice, imprudentemente, fecero scoprire alcune prove dell’assassinio. Benché fuggiti subito a Roma dopo il seppellimento frettoloso di Francesco Cenci in Santa Maria della Petrella, i Cenci furono ugualmente raggiunti dalla giustizia pontificia che riuscì quasi subito ad arrestare il Catalano.
Dopo un processo memorabile, nel corso del quale i Cenci riuscirono a far uccidere Olimpio Calvetti da un sicario, nei pressi di Cantalice, la posizione dei Cenci si aggravò ancor più e si ebbe la sentenza: Giacomo fu condannato ad essere accoppato e poi smembrato, Beatrice e Lucrezia ad essere decapitate, mentre al più giovane Bernardo Cenci, la pena capitale fu commutata in sei anni di galera.
Subito del personaggio di Beatrice, la cui bellezza aveva colpito la fantasia popolare, si impadronì la leggenda e la letteratura. Di essa scrissero Shelley, Sthendal, Dumas e numerosi altri. Intanto nel territorio del contado di Cicoli continuò il governo dei Colonna per un altro mezzo secolo. A Petrella si affermava nel frattempo una ricca borghesia mercantile, fra cui spicca la famiglia Novelli che nel 1643 completò la costruzione della brillante chiesa di S. Andrea e del palazzo oggi detto Maoli, in splendido stile manierista. L’ultimo dei Colonna di Cicoli, Pompeo, entrato in contrasto con la corte vicereale napoletana per aver fortificato la Rocca di Petrella, fu da questa spogliato di tutti i feudi. Subentrarono i Barberini, che però curarono assai poco i possessi equicoli.
Il Cicolano cominciò a divenire sempre più marginale, anche se a Petrella nel secolo XVIII e nel successivo, la popolazione aumentò fino a toccare i 1500 abitanti e vi sorse un potente ceto borghese. Tale situazione continuò fino all’unità d’Italia.
Fu forse proprio per questo che Petrella Capoluogo ebbe un ruolo molto marginale nel fenomeno del brigantaggio postunitario che vide protagoniste invece le sue frazioni come Teglieto, patria del famigerato brigante Bernardino Viola, e Fiumata, dove operò un nucleo di briganti locali.
Nel 1859 intanto, per un accordo tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie, le frazioni di S. Martino ed Offeio furono aggregate al Comune di Petrella. L’ultimo fatto notevole della ricca storia locale é la costruzione del bacino artificiale del Salto, con relativa distruzione di Borgo San Pietro, Teglieto e Fiumata, poi ricostruiti più a monte nel 1940.
Attualmente, dopo un periodo di notevole spopolamento, I’intero territorio cerca nel turismo la sua vocazione e, specie a Petrella Salto ciò non é impossibile, soprattutto se si tengono presenti le attrattive ed il valore del suo centro storico, senza dubbio uno dei più pregevoli della Provincia di Rieti. Anche le frazioni sono assai interessanti, si pensi a Staffoli, con la sua posizione a guardia della Valle del Salto e di quella del Velino, a Piagge, ad Offeio, nonchè a graziosi centri sulle rive del Salto, come Borgo S. Pietro e Fiumata, centri di turismo estivo. Notevolissima attrattiva é la montagna, con i suoi splendidi pianori costellati da laghi, il cui sviluppo é forse quello che in futuro riuscirà a risollevare la zona dal torpore in cui la civiltà industriale, con il conseguente urbanesimo, sembra averla condannata.


(Testi tratti da "Petrella Salto e la sua Storia" di Henny Romanin).