Dal feudalesimo all'unità d'Italia


Dal Feudalesimo all’unità d’Italia

Dopo la morte di Pompeo Colonna, avvenuta in Roma nel 1661, il principe Maffeo Barberini, principe di Palestrina, fece domanda a Filippo IV di Spagna, di acquistare tutti i feudi che erano stati dei Colonna.
Il Re accettò l’offerta e, nonostante le pretese degli eredi di Pompeo Colonna, nel 1662 vendette al Barberini i feudi cui sopra, tra cui anche la contea di Cicoli che era stata dei Mareri.
Poche sono le notizie ed i documenti riguardanti il governo barberiniano nel Cicolano. I nuovi conti, signori anche di altri vasti domini, hanno con i loro nuovi domini, soprattutto rapporti economici.
Riscuotono le tasse attraverso loro emissari e detengono soprattutto i beni della montagna. Nulla nel governo barberiniano che faccia pensare all’attivismo politico dei Mareri o agli interventi sociali, religiosi ed artistici dei Colonna.
Ormai i tempi nuovi sono alle porte: i vari stati europei vanno sempre più verso l’accentramento assolutistico monarchico ed anche nel Regno di Napoli il Feudalesimo comincia a divenire anacronistico. Infatti, ad eccezione di una lapide prima esistente nella parrocchiale di Mercato, che parla di lavori fatti eseguire da Cornelia Costanza. figlia ed erede di Maffeo Barberini e da suo marito, Giulio Cesare Colonna di Carbognano, nulla esiste che ricordi i Barberini.
Piuttosto si ha notizia delle liti che il successore della suddetta Cornelia Costanza, Urbano Barberini Colonna, ebbe con gli abitanti di Mareri, Gamagna e Poggiopoponesco per gli usi civici sulla montagna di Rascino.
Il feudatario, attraverso suoi emissari, vessò i pastori dei tre centri che, pertanto, si rivolsero al Re per invocare giustizia e protezione.
Ne nacque una lunga causa che durò dal 1753 al 1776. Alla fine la sentenza fu favorevole agli abitanti equicoli. Ma nel corso della stessa lite i pastori dovettero subire le angherie del principe e le ingiustizie di chi, invece, era preposto a fare loro giustizia.
Ma ormai il Feudalesimo è proprio alla fine e le vicende e le successioni nelle stesse famiglie feudali non fanno più notizia.
Le stesse popolazioni, come dimostra la stessa causa nel corso della quale i pastori si difesero contro il principe ormai sono sempre più conscie dei loro diritti.

D’altra parte nel corso del secolo XVIII a Petrella si comincia a formare una ricca borghesia, formata da medici, notai, avvocati e commercianti, liberi da gravami feudali e in grado di essere essi stessi arbitri del proprio benessere.
Ciò è dimostrato sia dal libro catastale del 1743, che dalle nuove costruzioni che si affiancano alla via Piana, oggi via XX Settembre, sui cui portali è incisa la data di costruzione.
Questo fenomeno di crescita sociale, già fiorente nel Seicento, si avverte chiaramente alla fine del secolo successivo, quando il Vescovo di Rieti, in visita pastorale, può affermare che Petrella è la "terra più importante del Cicolano".
E ciò non solo per l’avvenuto aumento della popolazione, ma anche per la grandiosità delle strutture. Infatti l’antico abitato, nato intorno alla Rocca, ormai appare completato ed esso, anche escludendone la parte nuova, pur consistente, rappresenta pur sempre il maggiore agglomerato equicolo.
Ma il fenomeno non riguarda solo Petrella: stando alle documentazioni fotografiche, una intensa attività edilizia in questo secolo. dovette fervere anche a Borgo San Pietro.
Settecentesca, infatti, era la chiesa del Monastero delle Clarisse, interamente rinnovata e decorata, come settecenteschi appaiono i palazzetti dei Brizi e delle altre famiglie borghesi della frazione.
Altrove, negli altri centri, il fulcro dell’economia continuò ad essere l’attività legata alla pastorizia e alla magra agricoltura locale.
La Rivoluzione, alla fine del secolo, in seguito alle invasioni armate repubblicane, si fece sentire anche nelle nostre terre, le quali, per lo più restano fedeli al Re Ferdinando IV.
Occupata L’Aquila nel Dicembre del 1798, le armate rivoluzionarle tentarono di instaurare un nuovo ordine, incontrando ovunque l’ostile resistenza delle popolazioni, le quali andarono ad ingrossare le bande dette "masse".
Anche il Cicolano, sotto la guida dell’arciprete di Borgocollefegato, Don Francesco Fattapposta, si armò unendosi alle forze guidate dal generale Salomone.
Infatti, con l’avvento sul trono regio di Napoli di Giuseppe Bonaparte prima, di Gioacchino Murat poi, molte novità amministrative dovevano venire a cambiare la connotazione politica del territorio, dove il feudalesimo agonizzante non aveva più nulla da dire e dove si avvertiva imperiosa l’esigenza di nuove forme di governo che avrebbero continuato ad esistere anche con la restaurazione.

Fu in occasione della seconda invasione francese del Regno, che a Petrella si formò una banda di trentadue uomini, che, agli ordini di Giuseppe Bulgarelli, anch’egli Petrellano, incoraggiò la zona alla resistenza.
Contro di loro, Felice Martelli, l’autore delle ricerche su Cliternia, chiamato popolarmente "il Poeta" residente a Colle della Sponga, fautore dei Francesi, armò molti proprietari Petrellani, costringendo la banda a riparare nello Stato Pontificio.
Questo fatto, che il Lugini trae da testimonianze dirette, possibili a ricercare ai suoi tempi, dimostra, ad una analisi più approfondita, le motivazioni sociali delle due fazioni in lotta: per i Francesi, come poi per i Carbonari e per Piemontesi, parteggeranno tutti coloro che, ricchi proprietari, avevano da guadagnare con il nuovo ordine liberal rivoluzionario.
Fedeli al re sono le "masse" certe, che la libertà e l’uguaglianza predicate dalle armate rivoluzionarle francesi, le stesse che erano eredi della "fraternità" del terrore, non aveva nulla a che vedere con loro. Per questo preferirono gli ideali della fedeltà al legittimo sovrano e la fraternità vecchia maniera, che, forse, era la vera.
Nel 1806 il re Giuseppe Bonaparte abolisce il Feudalesimo. Al posto della ormai anacronistica contea vengono istituiti i Comuni 100.
Per l’antica contea di Cicoli, soppressa, fu nominato esecutore della legge, Vincenzo Mozzetti di Pagliara. Il 5 Gennaio del 1810 varie Università, con decreto della Commissione feudale, esonerava il Contado di Cicoli da ogni gravame feudale.
Subito iniziarono le contese tra i vari centri per la divisione della vasta Montagna di Rascino, contese che si conclusero con l’assegnazione degli usi civici alle varie Università.
Nel 1808, il nuovo Re, Gioacchino Murat, provvide ad accorpare le varie Università in Comuni. Nel nostro caso, le Università di Mareri, Borgo San Pietro, Petrella, Staffoli e Capradosso, vennero a costituire il Comune di Petrella.

Questa la consistenza dei nuovo Comune nel 1810:
Petrella 799 abitanti, Capradosso e case sparse 740, Mareri (costituita dai centri di Piagge, Pagliara, Collerosso, Oiano, Teglieto, Flumata e Mareri) 602, Borgo San Pietro 415 e Staffoli, con Cerreto, 372.
Confrontando i dati demografici con quelli di altri centri, si deduce che Petrella è il centro maggiore del Cicolano. È, infatti, superata soltanto dai dati di Mercato (888 abitanti) e di Corvaro (809). Ma la prima considera i centri di Mercato, Ville, Fiamignano, Marmosedio, Perdesco e Case del Forno, mentre la seconda comprende oltre Corvaro, anche S. Stefano.
Nessuna notizia di un certo rilievo, comunque, viene a ravvivare la storia di quel periodo. Piccoli borghesi, proprietari terrieri, pastori cercano di tirare avanti in una vita normale, comune, grigia, poco turbata dagli avvenimenti che scuotono l’Europa.
Solo qualcuno emerge e si fa notare.
È il caso del citato Felice Martelli, il quale, dopo aver accolto con entusiasmo governi instaurati da Napoleone, si mostra adulatore nei confronti del governo uscito dalla Restaurazione.
La Carboneria, raggiunge anche il Cicolano. Vi aderiscono, insieme agli altri, il giudice Ferdinando Mozzetti di Pagliara, suo fratello Giovanni ed il medico Vincenzo Ferretti di Petrella, il quale si pose localmente come uno dei capifamiglia più emergenti. I fatti che si svolsero nelle vicinanze del nostro territorio e che ebbero nel Marzo del 1821 protagonista Guglielmo Pepe, poco turbarono la zona e, se si eccettua qualche arruolato nell’esercito costituzionale napoletano, poi sconfitto ad Antrodoco e a Rieti, tutto continuò normalmente, in una vita quasi appiattita da interessi privatistici che renderanno ogni centro abitato chiuso nel suo particolarismo.
Nell’estate del 1832, comunque un avvenimento notevole sembrò destare la zona dal torpore.
Il Re, Ferdinando II, deciso a dare una sistemazione ai confini del suo Regno, rendendosi conto di persona delle varie situazioni, compì un viaggio che toccò anche il Comune di Petrella Salto.
Il 19 Luglio, da Leofreni a Pescorocchiano, rifiutando ogni invito a deviare dal suo viaggio ai limiti del Regno, il Re fu a Borgo San Pietro, dove pernottò in casa di Gianlorenzo Tommasi. Acclamato dal popolo che per tutta la notte lo osannò con balli ed acclamazioni, il Re partecipò in modo assai cordiale alle feste preparate per lui. Il mattino seguente, continuando nel suo itinerario, parti per Cittaducale.
Il viaggio del Re, sia pure a lungo, ebbe le sue conseguenze.
Da esso si aprirono trattative tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato della Chiesa, per la ristrutturazione dei confini, trattative che, bench? tardi, per le sopravvenute vicende del 1848, ebbero i suoi effetti proprio sul Comune di Petrella Salto. Infatti, secondo i dettami del trattato del 1840 tra i due stati, i due centri di Offeio e San Martino, sarebbero stati ceduti al Regno dallo Stato Pontificio, in cambio del villaggio di Casette, allora di Cittaducale.
La rettifica di confine, fatta per seguire il corso del Salto come linea di demarcazione, fu attuata, per i motivi sopra accennati, solo il 5 Aprile del 1852.
I due villaggi, che l’appartenenza all’Abbazia di San Salvatore Maggiore, aveva, di fatto, posto al margini della vita della regione equicola, avevano, specialmente Offeio, comunanza di interessi con il resto del territorio del Comune di Petrella Salto.
Lo stesso sfogo naturale di Offeio era verso la zona di Quattro Parti, nel pressi delle campagne di Staffoli. Il fiume, inoltre, benchè torrentizio, era una linea di demarcazione che distingueva anche due culture, due modi di vita, due tradizioni.
Con l’aggiunta dei due nuovi centri il Comune di Petrella Salto, che era stato perfino oggetto di tentativi di aggregazione da parte dei comune di Mercato, motivati sempre con questioni economiche legate, come sempre, ai pascoli, assume anche una forma geografica più regolare e diviene più vitale.
L’avvenuta rettifica del confine portò ad una visita del ministro del Regno Francesco Del Carretto, il quale percorse la linea del nuovo confine da San Martino a Borgo San Pietro.
La fama del viaggio del ministro restò a lungo impressa nelle menti della popolazione, che lo aveva accolto con una luminaria di ceri, anche per illuminargli il cammino.
Alessandro Brizi, fu costretto a passare il confine ed a rifuggiarsi nello Stato Pontificio per tutta la permanenza del Del Carretto, che lo minacciava continuamente di fucilazione.
Ma ormai lo stesso Regno di Napoli e alla fine della sua esistenza, e il comportamento del Del Carretto, che tanto impressionò le popolazioni, non è che un episodio di arroganza anacronistica, assente perfino nel Medioevo feudale. La vita locale dei vari centri scorre normale e tranquilla.
Le notizie e le idee nuove che scuotono l’intera Italia sono recepite, come abbiamo visto, solo da parte di qualche borghese più acculturato.
La vita religiosa è abbastanza fervida ed a Petrella si svolge intorno ali Canonici della Collegiata di S. Maria, mentre il convento di San Rocco, abitato solo da qualche frate, è in via di smantellamento.
Luogo di devozione forte, ma poco curato nelle strutture, è il santuario di S. Maria Apparì, dove l’ultima domenica di Maggio del 1850, un fatto straordinario viene a mettere a rumore l’intera vallata.
Un tale Giuseppe Fiordeponti di Borgo San Pietro, da più mesi inchiodato a letto da un’artrite deformante che gli impediva di compiere il suo mestiere di calzolaio, dopo una preparazione a base di digiuno e di preghiera, compiuta da tutta la famiglia, si fece portare al Santuario mariano in occasione della festa.
Al momento dell’Elevazione dell’Ostia, dopo aver gridato a gran voce per avere la grazia, cominciò a sentirsi guarito, tanto che potè tornare da solo a casa.
Il miracolo spinse clero e popolo di Petrella, animato dall’arciprete Don Valeriano Fiori a restaurare il tempio e ad istituire una novena in preparazione della festa di S. Maria Appari.
La vita, comunque, scorreva tranquilla in tutto il territorio.

Unici problemi amministrativi che venivano sollevati nel Consiglio decurionale, sono problemi riguardanti i pascoli e la montagna.
Null’altro. I problemi sono limitati alla preoccupazione del restauro del ponte sul Salto a Borgo San Pietro, ma solo per permettere il transito delle pecore verso la Campagna romana.
Gli stessi decurioni sono sempre gli stessi: Tomassetti per Capradosso, Maoli, Melchiorri e De Sanctis per Petrella, Brizi per Borgo San Pietro, Mozzetti per Pagliara di Mareri, Petrangeli per Staffoli, tutti proprietari di terre e di bestiame.
In questa situazione di generale addormentamento, giunsero le notizie secondo cui, con l’impresa dei Mille e con la successiva invasione delle Marche, dell’Umbria e degli Abruzzi da parte dell’esercito sardo, il Regno delle Due Sicilie veniva definitivamente cancellato ed annesso al nuovo Regno d’Italia.
Nel Cicolano, Petrella, fu la prima ad aderire al nuovo Regno d’Italia, il 15 Settembre 1860. Nel giorni successivi anche gli altri tre Comuni equicoli fecero atto di adesione.
Ma fu un’adesione di vertice, che non ricercò né toccò la volontà popolare.
Già il 30 Settembre a Brusciano di Fiarmignano si ebbero gravi disordini, che ben presto si generalizzarono non solo nella zona, ma in tutto il Regno.
Rifiuti di togliere gli stemmi dei Borbone si ebbero in tutti i centri. Per tutto il mese di Ottobre del 1860 si hanno moti di reazione e nel territorio del Comune di Petrella in Capradosso assumono subito forme di estrema gravita.
I centri che maggiormente ebbero a soffrire delle azioni dei ribelli furono Borgo San Pietro, saccheggiato con l’aiuto degli stessi abitanti, Colle della Sponga, dove fu saccheggiata la casa dei Martelli.
Il 2 Novembre anche Petrella subì il saccheggio.
I "briganti" saccheggiarono le abitazioni dei più facoltosi per finanziare la loro azione politica in favore del legittimo Sovrano.
La prima fiammata di ribellione fu animata da ex soldati dell’esercito borbonico e da persone che preferivano la sommossa piuttosto che tradire la fedeltà al loro sovrano. Ma fu una fiammata che ben presto si ingrossò con altri elementi, persone che erano meno spinte da ideali politici e sentimentali e più dal desiderio di porsi al di fuori delle leggi per arricchirsi o per sfogare un istinto violento represso.
A Petrella, a Capradosso, a Staffoli, a Colle della Sponga, gli espropri forzati ed i saccheggi continuarono per tutta la prima metà del mese di Novembre. Ben presto tutti i centri si trovarono alla mercè delle "masse".
Ciò spinse il governo ad intervenire in modo drastico.
Il 16 Novembre già era a Capradosso una colonna mobile guidata dal colonnello Quintini, la quale il giorno successivo a Fiamignano, quartiere generale dei ribelli, ebbe un conflitto a fuoco con i rivoltosi.
Subito le masse si sciolsero e la calma sembrò ritornare in tutto il territorio.
Ma la rassegnazione al nuovo stato di cose non doveva durare a lungo.
Già nel Gennaio del 1861 la zona era di nuovo in fiamme.
A Petrella, il sei Febbraio fu arrestato l’esattore fondiario da alcuni briganti guidati da Antonio Appolloni di Fiumata. Qualche giorno dopo a Pagliara fu compiuto un esproprio presso la casa Mozzetti.
Offeio fu saccheggiata il 13 Febbraio da 18 briganti, tutti provenienti da Capradosso.
Dal 14 Febbraio, per più giorni consecutivi si ebbero espropri e violenze a Staffoli, a Petrella, a Colle della Sponga, a Borgo San Pietro, dove furono sequestrate anche alcune persone.
Solo il 10 Febbraio da Rieti mosse una colonna di volontari che rafforzò l’esercito piemontese. E non mancarono le vittime dall’una e dall’altra parte, come non mancarono le vittime innocenti come il ventunenne Giuseppe Cesarini di Fiumata, che, mentre dormiva in un pagliaio nel pressi di Vallececa fu scovato dalle truppe sarde e, nonostante le sue proteste di innocenza, fu fucilato a Fiamignano. Il fenomeno, comunque continuò ininterrotto fino al 1867, quando, sgominata la banda del Colaiuta nella zona tornò la calma.
Il territorio del Comune di Petrella, dopo i primi episodi di violenza, restò relativamente calmo.
Il brigantaggio del Cicolano, comunque, rappresentò una disperata avventura, come magistralmente titola il Di Michele il capitolo che tratta questo argomento.
Il fenomeno, inizialmente provocato dal lealismo verso il legittimo sovrano, successivamente fu alimentato da personaggi privi di scrupolo, per i quali il brigantaggio era quasi una rivendicazione, forse di tipo sociale, che nei protagonisti esaltava lo spirito di trasgressione, l’istinto alla ribellione ed al delitto.
La provenienza di gran parte dei capi briganti, o dei più famosi di essi, proviene dal Comuni di Lucoli, Tornimparte, Fiamignano, Pescorocchiano.
Pochi sono nativi del Comune di Petrella Salto, ma tra questi, oltre al capobanda Orfei, nativo di Piagge, ma sempre vissuto altrove ed all’Appolloni di Fiumata, quello che maggiormente fece parlare le cronache e che è rimasto nella fantasia popolare è certamente Berardino Viola, l’uomo che, con la sua fama, ha dato il suo nome anche al protagonista del romanzo "Fontamara" di Ignazio SiIone.
Nato a Vallececa in Comune di Pescorocchiano, nel Novembre del 1838, Berardino Viola, visse a Teglieto di Petrella Salto.
Apprese a leggere a Borgo San Pietro presso Don Felice Brizi, sacerdote del luogo. Arruolato nella guardia nazionale da Francesco Mozzetti di Pagliara, alle prime avvisaglie di ribellione, si uni alle "masse". Si distinse subito tra i briganti più risoluti e decisi. Arrestato a Flumata il 13 Dicembre del 1860, tentò di evadere dalla carceri aquilane.
Tornato a Teglieto, nel 1862 uccise li un certo Berardino Colombi da Rigatti. Dopo questo delitto tornò al brigantaggio.
La sua avventura è costellata di rapine, di delitti, di latrocini.
Unitosi a lui il capomassa Vulpiani, il Viola lo uccise e riparo nello Stato Pontificio.
Nel 1873 fu condannato al lavori forzati a vita, pena commutata poi a ventiquattro anni di carcere.
La sua figura, spogliata dalle connotazioni storiche, tenta di divenire un mito nella fantasia popolare.
Ma certamente si tratta di un mito negativo, dal momento che il Viola si avvicinò di più al delinquente comune, che all’idealista che combatte per un ideale.
Terminato il brigantaggio, la vita nel Cicolano torna tranquilla.
Il nuovo governo fa costruire, alla fine del secolo, due strade, che, da Rieti, raggiungono Avezzano unendosi a S. Lucia di Fiamignano, quella "di sopra" che da Cittaducale, seguendo l’antica strada che collegava la stessa città di Regno ad Avezzano e quindi a Napoli, attraverso Pendenza, Capradosso, Petrella e Fiamignano e quella "di sotto", che da Rieti, attraverso la Valle del Salto, si ricongiungeva alla prima.
Fu un primo tentativo di rompere l’isolamento.
Ma i centri non toccati dalla ruotabile dovranno attendere anni prima di avere il collegamento.
Intanto si va verso il nuovo secolo, che per l’Italia si apre in modo problematico.
E gli accenni delle novità e del recepimento di nuove esigenze cominciano ad apparire chiaramente. Nel 1905 si trova all’ordine del giorno del Consiglio Comunale di Petrella Salto, un punto che parla di acquedotti.
Il Consiglio tenta di risolvere per molti centri il problema del rifornimento idrico, portando l’acqua all’interno degli stessi. È, forse, il timido accenno ad una vita nuova.



(Testi tratti da "Petrella Salto e la sua Storia" di Henny Romanin).