L’Incastellamento
La vita nelle piccole "curtes" equicole procedeva tranquilla, pur tra mille difficoltà. L’autorità dei Duchi di Spoleto, le dominazioni longobarda e franca non sembravano aver nulla cambiato nell’incedere degli anni nel nostro territorio. Assistiti dai monaci, poveri pastori ed agricoltori, tiravano avanti la vita, quasi sicuramente ignari di quanto si muoveva loro intorno, come lontani dalla Storia che avanzava verso una rinascita dell’Occidente che, verso il primo millennio dell’era cristiana, portò l’Europa Occidentale tutta, fuori dall’isolamento in cui la caduta dell’Impero Romano e l’instaurarsi di regni Germanico-romano-cristiani avevano confinato in un’isola circondata quasi interamente dal mondo musulmano e, ormai, lontana anche dal mondo greco con il quale anche i legami ecclesiastici stavano per essere recisi.
Ma fu proprio un fatto traumatico a scuotere l’intera Valle del Salto dal torpore in cui la vita curtense pare l’avesse confinata.
Nell’anno 891 bande di Saraceni, dalla Marsica, si riversarono nella Valle del Salto ed in quella del Turano lasciando sul loro passaggio solo rovine e distruzioni.
La stessa Abbazia di San Salvatore Maggiore fu incendiata e la città di Rieti dovette subire stragi e distruzioni.
Le scorrerie dovettero continuare per anni se, ancora nel 923 si parla, a proposito della chiesa di S. Angelo di Fiumata dell’incendio della chiesa da parte dei Saraceni.
Il trauma iniziale fu notevole. Un’intera realtà di vita veniva ad essere di colpo modificata. La stessa realtà politica mutò, con l’eclissarsi dell’autorità dei conti di Rieti, città che aveva dovuto subire i gravi contraccolpi delle scorrerie. Fu in questo periodo che le popolazioni furono costrette ad abbandonare le "curtes" arroccandosi in luoghi più elevati, meglio difendibili e, al tempo stesso, non lontani dai campi coltivabili e dai pascoli.
L’esperienza dell’invasione saracena, giunta quasi all’improvviso, doveva aver insegnato alle genti a ricercare nuovi modi di difesa. E la scelta di nuovi insediamenti fu, senza dubbio, il primo atto di questa difesa.
Inizia così un processo, che durò quasi due secoli e che diede al territorio l’aspetto che, salvo qualche lieve mutazione, continua ancora oggi.
Quello dell’incastellamento é un fenomeno che andrebbe meglio studiato e valutato anche dal punto di vista urbanistico, dal momento che l’intera geografia umana, oltre che l’intera storia equicola poggia le sue basi su di esso.
È all’incastellamento che va attribuita la nascita del Cicolano attuale e ad essa risale anche la moderna situazione della zona. Il fenomeno fu lento e graduale, se é vero che le prime citazioni dei nuovi centri compaiono solo a metà del XII secolo.
In mancanza di documenti chiari possiamo ricostruire la nascita dei primi centri solo basandoci su ipotesi tratte dal collegamento tra quanto documentato all’epoca curtense con quanto poi si venne a creare nella realtà locale. Capradosso certamente nacque in seguito all’abbandono della corte sita intorno a S. Andrea. La popolazione si arroccò intorno ad un colle tondeggiante a dominio delle vallate sottostanti e ben difendibile da ogni lato.
Sorgenti non lontane potevano assicurare il rifornimento idrico, mentre le colture dei campi potevano continuare, vista anche la vicinanza del nuovo "castrum" al vecchio insediamento.
La pieve di S. Andrea continuò per secoli ad essere la parrocchiale del "castrum" anche se sita al di fuori di esso. Gradualmente la chiesa castrale di S. Stefano, cominciò però, a sostituirne la funzione, fino ad assumerne il titolo quando la prima fu totalmente abbandonata.
Da insediamenti sparsi intorno a San Giovanni, e verosimilmente nelle fertili vallate costituenti gli attuali Casale Cianetti, Casale Petrangeli, Cerreta, fino ai Balzi di S. Lucia, oggi Diga dei Salto, dovette sorgere Staffoli. L’insediamento si collocò intorno alla chiesa di origine monastica di S. Angelo a circa mille metri di altitudine riguardante interamente a sud e ben protetto dai venti montani, in una posizione che, se da un lato poteva permettere, pur con qualche sacrificio, la continuazione delle colture dei campi intorno a San Giovanni, a S. Maria Sconzia, fino al Salto, dall’altro avvicinava le popolazioni alla montagna ricca di pascoli e di sorgenti idriche nonchè di boschi.
La funzione di parrocchia restò all’antica San Giovanni per secoli e, solo nel 1561, fu sostituita nel titolo parrocchiale da S. Angelo, sita nel "castrum" dove, pero già era sorta un’altra chiesa, dedicata a S. Maria oggi Madonna della Quercia.
San Giovanni, dopo la sostituzione come chiesa matrice, a poco a poco decadde e, benché officiata nel giorno della festa del Santo titolare, il 24 Giugno fino a tutto il secolo XVIII a poco a poco andò in rovina.
Oggi non ne rimangono che pochi ruderi, mentre le pregevoli epigrafi di cui si é detto prima, sono state tutte asportate e di molte di esse si é perduta ogni traccia.
Continuando nell’analisi dei nuovi centri nati con l’incastellamento un discorso più ampio merita Petrella.
Il nome, che compare solo con l’incastellamento, dovette esser collegato all’esistenza del maestoso sperone roccioso intorno a cui si pose il nuovo insediamento. In realtà la posizione scelta appariva piuttosto felice: a guardia delle fertili vallate sottostanti, ben difeso dallo sperone roccioso su cui poi sorse la Rocca, in una posizione che guarda sud ovest, piuttosto aperta verso il territorio circostante, ma tale da poter permettere valida difesa, grazie anche al più basso colle, poi detto di San Rocco, che si colloca quasi al limite dell’intero insediamento, quello che le popolazioni della "curtis" de Broilo andavano costruendo, si prestava a successivi sviluppi.
Il sito, senza problemi di rifornimenti idrici, che erano assicurati dalle decine di sorgenti che uscivano proprio dallo sperone roccioso e che poi furono inglobate nelle stesse case, e tuttora esistenti con il nome di "fonticelle", tanto da assicurare l’acqua in casa a tutta la popolazione, permetteva la nascita del nuovo centro incastellato proprio nel punto in cui l’economia silvo-pastorale della ricca montagna veniva a legarsi con l’agricoltura praticata nelle fertili vallate sottostanti estendentesi fino al Salto, sciolto dai precedenti luoghi di culto, che, pur continuando ad esistere, furono subito sostituiti nelle loro funzioni da una nuova chiesa castrale, di piena giurisdizione vescovile.
Anche per Petrella il fenomeno dell’incastellamento non fu nè rapido nè immediato, ma graduale, come dimostrano le citazioni documentarie di cui avremo modo di parlare. Altri insediamenti castrali nacquero nell’area tra S. Angelo di Fiumata e la cresta dei monti. Originati, forse, dalla corte di Pitte, esistente dove poi sorse il centro di Mercato, detto anche, per le sue funzioni commerciali Forum Marerii, nacquero i "castra" di Mareri, Vellebona, S. Rufina (Piagge) e Poggio Poponesco.
Vallebona sorse come "castrum" nel sito nei pressi dell’attuale bivio di Piagge, guardante verso la "curtis de Broilo", in un sito ancor oggi chiamato "Valleona", con all’interno la chiesa castrale di S. Andrea, le cui rovine ancora sono visibili. Mareri si arroccò intorno ad uno sperone roccioso che ricorda quello di Petrella e su cui poi nacque la Rocca, a guardia anch’esso delle vallate sottostanti. Far risalire il suo nome ad un erede dei Conti dei Marsi, di nome Manerio o Maneiro, di cui parla il Lugini, a nostro avviso non é che una leggenda, di quelle che si sovrappongono a posteriori alla Storia, talvolta falsandone, specie a livello popolare, le sue stesse linee generali.
Piagge sorse, invece, su una pendice rocciosa, da cui poi derivò il nome.
Tutti questi ultimi castelli si posero quasi a guardia dei sito di Mercato, il "forum", centro di scambio, dove pure era la chiesa pievana di S. Maria, che continuava, da Poggio Poponesco, a Mareri, a Fiumata, ad esercitare la funzione parrocchiale.
Accanto ai "castra", comunque, continuò a sussistere un habitat sparso nelle campagne, meno importante, sito in luoghi dove il lavoro dei campi e altre attività imponevano una minima presenza umana. Sono le cosiddette "villae", insediamenti agricoli sorte, per lo più, nei pressi di luoghi di culto preesistenti.
È il caso di Fiumata, detta anche villa S. Angelo, sorta intorno alla chiesa monastica di S. Angelo in fiume, più volte citata in queste pagine.
Testa di ponte sul Salto, assicurante i collegamenti con l’altro versante, con l’incastellamento decadde, ma continuò la sua funzione alle dipendenze del "castrum" di Mareri. Altra villa é Oiano, di carattere prettamente agricolo, altra ancora e Casardita, sorta intorno alla chiesa di San Pietro de Molito, con funzione anch’essa di testa di ponte sul Salto verso l’altro versante e che le vicende storiche successive ci spingeranno a trattare in modo più particolareggiato.
Altra villa, sicuramente nata in periodo posteriore, forse dopo la decadenza e abbandono di Vallebona, é Colle della Sponga, centro posto sulla strada che da Petrella portava a Mercato e, quindi, verso la Marsica, che si presenta adagiata sul dorso di un piccolo colle, con la sua piccola struttura unitaria che richiama la tipologia castrale, a guardia della sottostante villa Casardita, ma legata, come vedremo, al vicino "castrum" di Petrella.
Forse più tardi degli altri sorsero i centri di San Martino e Offeio. Entrambi sotto la piena giurisdizione dell’abbazia di San Salvatore Maggiore, il primo é citato la prima volta nel 1221.
Offeio, invece, si trova citato per la prima volta in una pergamena del 1275, conservata nel Monastero delle Clarisse di Borgo San Pietro.
Le popolazioni sistematesi nelle nuove strutture castrali, facenti parte del contado reatino, dovettero, comunque, subire un’altra invasione, quella normanna, capeggiata da Ruggiero II.
La nuova invasione fu traumatica per Rieti, che fu incendiata e saccheggiata dai Normanni. Non sappiamo quali conseguenze ebbe nei nuovi castelli del Basso Cicolano la nuova invasione, dal momento che manca ogni chiaro riferimento documentario al passaggio dell’esercito normanno.
Certo é che da allora il territorio oggetto della nostra trattazione entrò a far parte dei domini della nuova monarchia, insediatasi nell’Italia Meridionale, appartenenza che durò ininterrotta fino alla conquista piemontese del 1861.
Il cambiamento sopravvenuto nell’appartenenza politica dell’intero territorio ad una realtà statale di tipo nuovo, si fece sentire anche localmente, con l’instaurazione nei castelli basso equicoli di un feudalesimo minore.
Infatti, i vari centri furono infeudati a signori più o meno potenti. Gran parte dei castelli del Cicolano appartenevano a Gentile Vetulo, signore di feudi anche nel versante amiternino.
Su Gentile Vetulo si sa assai poco, anche se qualcuno avanza l’ipotesi che fosse conte di Rieti. Egli era signore di gran parte dell’Alto Cicolano e possedeva Petrella che era infeudata ai figli di un certo Gardesonio.
Staffoli era possesso di Berardo di Collinirco, barone di Stiffe, mentre Capradosso e "Baranum" erano feudo di un certo figlio di Garsenio.
Un altro signore, Rainaldo di Sinibaldo, era feudatario di Mareri, Villa Casardita, Girgenti, Vallebona, Poggioponesco, Poggioviano, Radicaro, Sambuco e Rocca di Alberto.
Ad un primo esame della geografia politica del Cicolano, emerge subito un fatto non trascurabile: se, infatti, i domini di Gentile Vetulo erano vasti e numerosi, non avevano nel Cicolano una continuità territoriale tale da costituire qui una realtà politica valida e possibile di espansione, i domini di Rainaldo di Sinibaldo costituivano, invece, uno stato unitario sulla destra del Salto, da formare una striscia di territorio dalle cime dei monti al fondovalle.
Il centro dei feudi di Rainaldo era Mareri, feudo di 3 militi, cioé di 75 famiglie, sparse nel castelli di Piagge (S. Rufina) Mareri e nelle ville di Oiano, Collerosso, Pagliara, Teglieto e S. Angelo di Fiurnata, con incluso Mercato (Forum Marerii) che il possesso del feudo di Poggiopoponesco rendeva sicuro e sorvegliato, servito dal punto di vista religioso dalla pievana, sita in Mercate, di S. Maria in foro Marerii, matrice di tutte le cappelle dei domini di Rainaldo ed unica chiesa battesimale del territorio occupato dai suoi feudi.
Sicuramente la residenza del signore era in Mareri, forse non nella Rocca, ma in un palazzo all’interno del "castrum" stesso.
Con l’avvento del feudalesimo nel Cicolano, si assiste anche ad un altro fenomeno, che si afferma contemporaneamente a quello dell’incastellamento.
La Chiesa era da poco uscita vincitrice dalla lotta per le investiture e mostra una nuova energia nel riacquisire diritti e prerogative che talvolta sono stati usurpati e talvolta aveva dovuto cedere spinta da necessità contingenti frutto della difficoltà dei tempi.
Infatti, i vescovi di Rieti cominciano a riacquisire, aiutati dalla nascita dei nuovi centri incastellati, le loro prerogative sulle popolazioni dipendenti dalla loro autorità e sulle chiese, che ancora erano sotto la giurisdizione delle grandi abbazie benedettine.
Come gli antichi centri curtensi, eredi della topografia romana, anche gli antichi luoghi di culto, in genere di giurisdizione monastica, vengono a poco a poco abbandonati.
I Vescovi di Rieti mantengono, o riacquistano la loro giurisdizione sulle pievi e la esercitano sulle nuove chiese sorte all’interno delle nuove strutture castrali.
È del 1153 la bolla di papa Anastasio IV al Vescovo di Rieti, Dodone, che fissa i confini della diocesi, ricordando anche chiese e monasteri del Cicolano.
In essa sono citate le pievane di S. Andrea di Capradosso e di S. Maria di Mareri (Mercato). Un’altra bolla, che elenca le chiese della diocesi reatina fu quella di Lucio III del 1182.
In essa sono citate S. Maria della Petrella, S. Giovanni di Staffoli, nonchè le cappelle di S. Giacomo in Oiano, di S. Rufina (Piagge) e di S. Eutizio in Mareri.
La presenza dei feudatari come signori dei castelli dovette senz’altro favorire il processo di riacquisizione della giurisdizione dell’autorità diocesana sui luoghi di culto per poi riconsegnarli al vescovo di Rieti, riottenendone il giuspatronato.
È certo che alla fine del secolo XII ormai la topografia del Basso Cicolano é talmente cambiata e l’intera zona si accinge, a vivere nuovi periodi storici partecipando con la sua presenza attiva a quel processo di crescita che contraddistingue i secoli del Basso Medioevo, secoli dai cui travagli e dalle cui lotte più o meno traumatiche é nata la nostra civiltà europea ed occidentale.
E il nostro territorio si inserì in quelle vicende in modo non proprio marginale, dando anch’esso in senso peculiare ed originale, il suo contributo alla costruzione della Storia dell’umanità.
(Testi tratti da "Petrella Salto e la sua Storia" di Henny Romanin).